CARLO DILONARDO







TERMINARE PER RICOMINCIARE



Eccoci arrivati al traguardo. E come ogni traguardo che si rispetti, come è noto, siamo – in realtà – al punto di partenza. Mi sia consentito l’augurio di una vita duratura a questo blog di discussioni, dibattiti e “pensieri” teatrali con cui ho il piacere di condividere l’esperienza con addetti ai lavori da cui si impara, sempre. Ho deciso di dedicare i miei primi “pensieri” teatrali a coloro che questi dovrebbero crearli.
La città di Roma è da qualche mese tappezzata di manifesti che invogliano il buon passante-teatrante a decidere con tutta serenità di segnarsi a questa scuola, piuttosto che a quell’altra con cui non ne condivide il “metodo”. Non mi addentro nello specifico di questa parola, ma quando se ne parla, il pensiero si rivolge al povero Konstantin, che non fu il solo a parlare di “metodo”, se poi ne parlò mai, così come molte scuole fanno erroneamente intendere. Eppure coloro che si dichiarano figlio del nipote dello zio della cugina di Stanislavskij continuano a pretendere di poterlo insegnare, illudendo e mistificando la realtà delle cose. Stia sereno il pedagogo russo che la pretesa non viene avanzata solo nei suoi confronti, ma anche verso suoi colleghi.
E allora, i giovani e pullulanti attori si chiedono dove possono formarsi e, di contro, ogni attore con conclamata esperienza apre la sua “scuolina” inserendo in calce il bel nome in direzione artistica, se poi questo vate del palcoscenico mai farà una lezione non è dato sapere; o meglio, lo si saprà quando i soldi degli allievi saranno già stati spesi.
In questi anni mi sono trovato in contatto con un numero interessante di giovani, giovanissimi attori, ciascuno proveniente dalle meravigliose scuole, accademie, laboratori, workshop, centri commerciali, insomma in tutti i luoghi dove si cerca di insegnare teatro, ci fosse stato mai nessuno che fosse riuscito a mettere insieme due parole su Silvio D’Amico, su Molière, su Giorgio Strehler…niente, o quantomeno a distinguere una ribalta da un boccascena… Solo banali e semplicistiche affermazioni che lasciano il tempo che trovano e quando lo trovano, lo perdono. Per non parlare della mancanza assoluta della sete di sapere, della voglia di imparare, di studiare e approfondire, respirando l’acre odore di un palcoscenico vuoto. O ancora, uno scarso inter-esse per l’altra faccia della sala teatrale, il pubblico, lo spettatore. Il teatro è un rito: è necessaria, cristianamente parlando, la comunione (d’intenti), occorre una vera e propria “fusione” fra sacerdote e credenti, così come in teatro è importante che questa unione possa manifestarsi tra l’artista ed i suoi spettatori. Non si vuole denigrare demagogicamente il lavoro e lo studio di tanti onesti lavoratori, ma li si esorta ad essere onesti con questi allievi: il teatro non è un gioco, è una scelta di vita, è un sacrificio, è sangue, sudore, anima, corpo. Questo, in noi giovani, diciamocelo, manca. Vuoi per mancanza di veri maestri, vuoi per una dipartita totale della voglia di conoscenza che è appartenuta ai nostri padri, immediatamente dopo la guerra, ma la situazione culturale, direi, di approccio al teatro è veramente desolante. Si sbraita contro la tivù, ma poi la si alimenta ogni giorno: ovvio, paga. Il teatro, invece, lo devi pagare, nel senso più specifico del termine: pagare per entrare, pagare per assistere ad uno spettacolo, è un continuo pagare. La televisione ap-paga…ma questa è un’altra storia. E allora si cerchi di far vivere, di dar respiro solo alle vere ed accreditate eccellenze, non si continui a rovinare quelli che diventeranno gli attori di domani: si rischia un pericoloso processo senza fine.
Spero, davvero, nella serietà e nel rigore culturale di coloro che pur non sapendo nemmeno la forma di un palcoscenico (perché una forma vera non esiste!) continuano ad aprire scuole e ad improvvisarsi maestri, pregiati di allievi capaci di saper esporre un trattato di filosofia con una dizione perfetta, ma incapaci di rendere il loro corpo vivo su due assi di un palcoscenico: esorto, insomma, questi a studiare, a leggere una storia del teatro “magari con illustrazioni”! Abbiamo bisogno di un attore credibile, oltre che leggibile, antropologicamente “organico”, affinché ogni sua singola azione sia motivata, abbia (in sé) un senso
Per il resto, alea iacta est…andiamo avanti, con calma, ma andiamo avanti.

Buona Vita al nostro neonato blog e a tutti gli amici lettori che vorranno condividere questo cammino!

Carlo Dilonardo




Teatro Civile – Teatro Incivile 1-1
Palla al centro…della scena

Teatro: Edificio appositamente progettato per le rappresentazioni sceniche […]; luogo in cui si sono svolti eventi o imprese memorabili o che ha fatto da sfondo ad avvenimenti particolari

Civile: Rivolto ad illustrare le virtù che formano il vero cittadino e conquistano e mantengono il buon governo

Incivile: Refrattario alle più elementari norme di educazione e di cortesia

Ho voluto iniziare questa partita analizzando con precisione le squadre e l’arbitro con il contributo del dizionario della lingua italiana, per poter effettuare uno “scritto-cronaca” il più coscienzioso ed analitico possibile. Il tema lanciato dal nostro blog è quanto mai attuale, specie se consideriamo il teatro come lo specchio della società: non abbiamo scoperto nulla di nuovo, almeno noi, ci hanno già pensato i greci duemila anni fa. Senza troppi giri di parole, è emblematico il fatto che la maggior parte dei testi che si dedicano allo studio della storia del teatro del Novecento iniziano il loro racconto facendo presente al lettore che il XX secolo, specie per la nostra Italia, segna l’inizio di una nuova era dello spettacolo dal vivo, dovuta alla necessità di far comprendere al pubblico borghese (e non solo), quello che si recava a teatro per la “beata digestione”, come sosteneva Silvio d’Amico, che il teatro fosse un mezzo civile di aperta comunicazione sociale il cui messaggio lanciato dall’autore, vedeva nel regista, nell’attore, ma soprattutto nello spettatore il testimone di quella stessa comunicazione. Negli anni Cinquanta, con ritardo rispetto al resto dell’Europa, il nostro Paese vive un periodo di profondi e positivi cambiamenti grazie all’esperienza del Piccolo Teatro di Milano che in maniera incisiva vuole concedere ai propri spettatori la possibilità di <<colmare un abisso culturale di cinquant’anni>>, come lo definiva Strehler, grazie ad un repertorio teatrale che aveva l’urgenza di civilizzare un pubblico troppo abituato a ridere di(s)gusto, uscendo dalla sala felice e sereno, senza troppe preoccupazioni per il proprio quieto vivere. L’impostazione data dai fondatori del Piccolo sconvolgeva di fatto le certezze a cui il pubblico era abituato: si volle puntare su un obiettivo preciso poiché <<una società si costruisce anche attraverso valori morali e culturali e non soltanto erigendo muri o incrementando palazzi>>. Non è questa la sede opportuna per valutare gli effettivi risultati del Piccolo Teatro, si vuole soltanto sottolineare come il fabbisogno di un teatro “civilizzato” sia una necessità reale per il cittadino, prima ancora che per lo spettatore. Su questo aspetto interessante ed invitando il lettore ad approfondire questo momento della storia del teatro italiano, ci fermiamo poiché se dovessimo tracciare un percorso storico-artistico del teatro così come noi lo vediamo e lo vorremmo, dovremmo ovviamente analizzare, per dovere di cronaca, anche e soprattutto i contributi dei numerosi autori-attori che dagli anni Sessanta in poi hanno lasciato un segnale indelebile nella creazione di storie teatrali non finalizzate al puro intrattenimento, ma che hanno gettato davanti agli occhi dello spettatore l’ “irreale realtà” delle cose. Fin qui, il primo tempo della partita potremmo chiuderlo sull’1-0 per la squadra di casa.
Veniamo alla ripresa del match in cui la squadra ospite sembra tornare all’attacco. In effetti, oggi sembra più opportuno parlare di un teatro ormai succube di una lacerante immagine televisiva e internauta che porta tutti a voler far gli attori, come se fosse un lavoro come un altro. Diciamolo con forza una volta per tutte, non è così ed è sbagliato crederlo. Fare gli attori comporta sacrifici, solitudini, rivolte (mi sia consentita la parafrasi al titolo di un bellissimo testo di Eugenio Barba) che non tutti possono supportare. Oggi fare teatro è diventato un modo-altro per apparire, per mostrare la propria immagine: i laboratori (o sedicenti tali), sono colmi di aspiranti uomini di scena, che con il tempo potranno ritrovarsi ad essere solo “spiranti”, proprio perché si sta portando il teatro ad una morte lenta. Non esiste più uno strato medio: o nome in locandina o teatri vuoti, al di là del valore dello spettacolo e di chi lo crea. Nome in locandina che è quasi sempre un nomignolo lanciato da trasmissioni televisive che tentano di occultare la realtà proprio attraverso quei programmi che vorrebbero essere chiamati reality-show o peggio, talent-show. Bisogna capire che il teatro deve essere un’esperienza viva per chi lo fa e per chi lo vede: solo attraverso questo reciproco scambio può esserci un “rapporto” alla pari. Mi piace ricordare in questa occasione alcune parole di Eugenio Barba, che riporto fedelmente: <<Vi sono spettatori per i quali il teatro è essenziale proprio perché non presenta loro soluzioni, ma nodi. Lo spettacolo è l'inizio di un'esperienza più lunga. È il morso dello scorpione che fa ballare. Il ballo non si arresta all'uscita del teatro>>. Quando si indossa il cappotto, bisogna fare il punto della situazione, direi, “la virgola” della situazione, perché il punto significherebbe voler porre un termine a ciò che si è visto, invece la civiltà del teatro è proprio insita in quella capacità di guardare al-di-là del puro intrattenimento. Dalle parole di Barba intuiamo che è proprio quello il non-teatro. Considerazioni del genere le aveva sostenute un uomo di teatro, che all’apparenza può essere posto agli antipodi di Barba, mi riferisco a Paolo Grassi, quando nel 1977, a proposito del suo ideale di teatro avrebbe sottolineato che il vero teatro è quello <<che comincia prima e finisce dopo. Che non si esaurisce, anche al più alto livello estetico, nello spettacolo al quale si assiste>>. Ecco cosa vorremmo, chiamatelo ritorno all’ Ancien Régime, ritorno alle origini, per noi sarebbe un ritorno al futuro; siamo colmi di buone speranze. In ogni modo, la partita sta per finire siamo al 90’, in zona cesarini, arrivano gli esempi di un teatro civile e civilizzato che purtroppo non riescono ancora a portare la palla in rete. Ma confidiamo nella partita di ritorno…il campionato per fortuna, non è finito!